Guardo i quadri di Maurizio Camposeo e ho l’impressione di trovarmi tra quei pittori seguaci dell’arte Rocaille.
Paesaggi fantastici, insolite composizioni, alberi frondosi e ruderi, lontananze azzurrine e luci plumbee e metalliche.
L’immaginazione e la stranezza del soggetto si dispiegano a briglia sciolta, quasi uno strano effetto liberatorio e una esplosione di fantasia che l’inconscio vuole esprimere.
Il tutto sembra racchiudere un non so che di misterioso, o addirittura un senso di inquietudine, sotto l’aspetto di una architettura presentata in forma amabile e inventiva.
Nei Suoi quadri il pittore concentra la geografia della Sua formazione; lo spazio è quello immaginario nel quale il soggetto sovrasta la realtà e il fiabesco aleggia e si fonde con esso, creando una nuova concretezza di immagine, dove labili sono i confini tra naturale e soprannaturale.
Per Camposeo non esiste frontiera tra realtà e surrealtà; egli ignora la metafisica del confine.
Lo stile, seppur convenzionale, è libero perché fa appello, in primo luogo, alla fantasia, poi, perché la composizione è concepita come un ricordo, la rievocazione di un’esperienza affondata nelle radici dell’inconscio.
Le figure, i paesaggi, i monumenti – per lo più della città ove il pittore lavora – vengono contemplati e rivissuti modificando dimensioni e direzioni.
Lo spazio a loro concesso è quello immaginario, dove la struttura sovrasta la realtà e il fiabesco aleggia sul paesaggio e insieme si fonde con esso, creando una nuova concretezza di sogno.
La Sua ultima pittura è come più abbreviata e grumosa, maggiormente riassunta entro sommari partiti di colori chiari e densi, o cupi, come raggiunta da una ombra patetica al cui riparo e con la cui complicità tutto il percorso della fantasia dell’artista è rivissuto come in un film.
Se questo è il modo con il quale il pittore, oggi, rievoca l’immaginazione che aveva, a sua volta, rievocato i sogni della giovinezza, tutto ciò è indice di un impegno di maturità artistica, mirato alle gioie dell’apprendere.
Il Suo colore non è né reale né anonimo, ma il gioco dell’ombra e della luce che illumina o nasconde il soggetto aggiunge prospettiva e profondità.
Camposeo non è un seguace del surrealismo perché la Sua pittura è più astratta e liberata e ha quasi la dimensione dell’innaturale.
Innaturale è qualcosa che si manifesta in forma diversa nell’ambito del naturale, servendosi delle sue leggi sia pure per modificarle, o semplicemente capovolgerle in modo arbitrario.
Il surreale è, invece, un’altra realtà, ignota e allarmante, suprema ma anche sotterranea, dotata di meccanismi diversi, suoi propri, inaccessibili, oscuramente profondi.
In Camposeo non è mai l’oscurità ad annunciare un messaggio, ma un improvviso intensificarsi di luce.